Domanda di ripetizione addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica versata ante 2012
Pubblicato il 23/11/21 00:00 [Doc.9896]
di Redazione IL CASO.it


Domanda di ripetizione addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica versata ante 2012 - disapplicazione normativa interna in contrasto con direttiva in rapporto tra privati - esclusione - disapplicazione normativa interna in forza di principio generale e di effettività -- sindacato incidentale sul rapporto tributario - natura indebita del pagamento - grave ed eccezionale ragione per la compensazione delle spese di lite.

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N. R.G. 1072/2021

TRIBUNALE ORDINARIO di Mantova
Sezione Civile
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 1072/2021 promossa da:
A.
RICORRENTE
contro
T.
RESISTENTE
Il GI
a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 26/10/2021,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA EX ART. 702 TER C.P.C.
Sintesi delle questioni
A. ricorse ex art. 702 bis c.p.c. contro T. al fine di sentir accertare, previa verifica incidentale del contrasto tra la norma italiana istitutiva dell'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica (art. 6 D.L. 511/1998) e la direttiva n. 2008/118/CE, che il pagamento effettuato a titolo di addizionale all'accisa dalla ricorrente non era dovuto e di sentir condannare la resistente alla restituzione ex art. 2033 c.c. della somma di € 8.609,94, oltre a interessi e spese.
Si costituì T. chiedendo il rigetto delle avverse domande e in via riconvenzionale subordinata, una volta autorizzata alla chiamata in causa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di condannare la terza chiamata a manlevare, risarcire e comunque tenere indenne la deducente rispetto a qualsivoglia conseguenza pregiudizievole con specifico riguardo agli interessi legali sugli importi che dovesse essere tenuta a restituire, alle spese di lite liquidate in favore di controparte nonché a quelle sostenute dalla resistente.
L'udienza di discussione venne fissata mediante trattazione scritta ai sensi degli artt. 221 del D.L. 34/2020 conv. dalla L. 77/2020, 23 del D.L. 137/2020 e 7 del D.L. 105/2021, oltre che delle direttive della Presidenza del Tribunale di Mantova in data 8/9/2020.
La causa ha natura documentale. Le difese svolte dalle parti sono compatibili con l'istruttoria sommaria propria del presente rito, sicchè, non prevedendo detta procedura uno scambio di ulteriori memorie, peraltro non necessario in assenza di assunzione di nuove prove, si procede ad esaminare il merito della controversia.
Ragioni in fatto e in diritto
Preliminarmente, va confermato il rigetto della richiesta di chiamata in causa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, atteso che la domanda svolta da T. contro lo Stato italiano (di accertamento della responsabilità dello Stato per mancato recepimento della direttiva 2008/118/CE) in via già di per sé assorbente amplierebbe notevolmente l'ambito di indagine del presente procedimento in violazione del principio di ragionevole durata dei processi sancito dall'art. 111 Cost. In via solo incidentale, poi, da un lato trattasi di domanda che non rientra in un rapporto specifico di garanzia (art. 702 bis/5 c.p.c.) bensì va ricondotta alla eventuale e generale obbligazione dello Stato di ristoro dei danni per tardivo recepimento di una direttiva e dall'altro lato non può di per sé neppure astrattamente escludersi che la domanda risarcitoria dei maggiori interessi e delle spese di lite possa essere esperita congiuntamente a quella di rimborso della somma capitale oggetto della presente causa quale questione concernenti i cosiddetti "diritti patrimoniali conseguenziali" , ovvero questione risarcitoria direttamente connessa con un atto di natura tributaria .
Nel merito, come anticipato sopra, sono circostanze pacifiche fra le parti, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., la sussistenza del contratto di somministrazione dedotto da parte ricorrente nonché il pagamento dei tributi richiesti in restituzione, anche con riguardo alla quantificazione della addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica ritenuta oggetto di pagamento indebito.
Costituiscono invero oggetto di controversia: 1) la natura della addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica; 2) la possibilità o meno di disapplicare la normativa interna in punto addizionale provinciale, nel periodo di cui all'indebito allegato dalla ricorrente; 3) la infondatezza della domanda avversaria in relazione agli interessi; 4) la sussistenza dei presupposti per la compensazione delle spese di lite, nell'ipotesi di soccombenza.
Sulla natura della addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica
La tesi secondo la quale la natura di imposta "addizionale" del tributo base escluderebbe la fondatezza della domanda, atteso che non sarebbe necessaria una specifica finalità per la sua introduzione, è infondata.
Va infatti osservato che, diversamente da quanto dedotto da T. l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica ha caratteristiche tali da essere qualificata quale imposta autonoma, avente una sua propria norma impositiva.
Infatti, già in via normativa, le regole dettate con riferimento alle accise erariali non valgono per le addizionali e, per contro, sono considerati soggetti all'addizionale consumi esenti dall'accisa (art. 52/3 TUA) .
E in ogni caso, in via di per sé assorbente, anche prescindendo dalla specifica qualificazione teorica del tributo di cui è causa, va condiviso l'orientamento di legittimità che ha chiarito che "l'addizionale all'accisa rientra comunque nel novero delle "altre imposizioni indirette" previste dalla Direttiva Comunitaria 2008/118/CE, la cui ammissibilità è condizionata alla presenza delle "finalità specifiche"; condizione, quest'ultima, non soddisfatta (cfr. ex multis, Cass Civ., sez. V, n. 27101/2019 del 19.10.2019 , pag. 6; Cass Civ., sez. V, n. 16142/2020 del 28.07.2020 ).
Sulla disapplicazione della normativa interna: il quadro normativo e giurisprudenziale
L'art. 6 del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511, come modificato con efficacia dal 1/6/2007, prevedeva (tra l'altro) l'istituzione di una addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica in favore delle Province.
Essendo le accise tributi "armonizzati", la disciplina del diritto interno è stata progressivamente oggetto di integrazione con la normativa di rango comunitario.
La direttiva 92/12/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1992 prescriveva all'art. 3/2 che: "2. I prodotti di cui al paragrafo 1 possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione delle base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta", previsione ampliata dalla direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003 che ha statuito (sub art. 3) che "I riferimenti agli «oli minerali» e alle «accise» applicate agli oli minerali di cui alla direttiva 92/12/CEE s'intendono come riferimenti riguardanti tutti i prodotti energetici, l'elettricità e tutte le imposte indirette nazionali di cui, rispettivamente, all'articolo 2 e all'articolo 4, paragrafo 2 della presente direttiva".
La direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008 relativa al regime generale delle accise e che ha abrogato la direttiva 92/12/CEE ha invece prescritto, sub art. 1/2 che "gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni".
In attuazione della predetta direttiva è stato emanato il decreto legislativo 29 marzo 2010, n. 48, che tuttavia nulla ha previsto in merito alla specifica finalità dell'addizionale all'accisa sull'energia elettrica di cui è causa, né invero ha modificato la relativa previsione.
Solo a decorrere dall'anno 2012, dopo l'avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 è stata soppressa con D.Lgs 23 e 68/2011 nelle Regioni a statuto ordinario, mentre nelle Regioni a statuto speciale la disposizione istitutiva della imposta è stata abrogata con il D.L. 16/2012 .
In questo contesto normativo la Corte di Giustizia, con due sentenze (CGUE del 5/3/2015 in causa C-553/13 e CGUE del 25/7/2018 in causa C-103/17), ha affermato la contrarietà al diritto unionale delle norme che istituiscono una imposta addizionale in mancanza di una finalità specifica, che non sia puramente di bilancio, nelle specifiche controversie ad essa sottoposte (a seguito di rinvio pregiudiziale di due giudici nazionali, estone e francese).
In particolare, con la sentenza CGUE del 5/3/2015 in causa C-553/13 si è stabilito che: "L'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE, dev'essere interpretato nel senso che non consente di ritenere che un'imposta come quella di cui trattasi nel procedimento principale, quando grava sulle vendite al dettaglio di combustibile liquido soggetto ad accisa, persegua una finalità specifica ai sensi di tale disposizione in una situazione in cui essa è diretta a finanziare l'organizzazione del trasporto pubblico nel territorio dell'ente locale che istituisce tale imposta e detto ente locale, a prescindere dall'esistenza della predetta imposta, ha l'obbligo di eseguire e di finanziare tale attività, anche se il gettito di detta imposta è stato utilizzato esclusivamente per realizzare l'attività in parola. La richiamata disposizione deve di conseguenza essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che istituisce un'imposta di questo tipo sulle vendite al dettaglio di combustibile liquido soggetto ad accisa". In particolare, a seguito di rinvio pregiudiziale in giudizio instaurato da un fornitore nei confronti dell'ente impositore, la Corte si è pronunciata in relazione alla conformità della specifica norma estone.
La sentenza CGUE del 25/7/2018 in causa C-103/17 ha statuito che: L'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 deve essere interpretato nel senso che un'imposta come quella in questione nel procedimento principale può essere qualificata come «altra imposta indiretta», alla luce della sua finalità ambientale, volta al finanziamento dei costi supplementari connessi all'obbligo di acquisto di energia verde, esclusi i suoi obiettivi di coesione territoriale e sociale, come la perequazione tariffaria geografica e la riduzione del prezzo dell'energia elettrica per le famiglie in condizioni di precarietà, nonché i suoi obiettivi puramente amministrativi, segnatamente, il finanziamento dei costi relativi al funzionamento amministrativo delle autorità o delle istituzioni pubbliche quali il mediatore nazionale per l'energia e la Cassa depositi e prestiti, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio del rispetto delle regole di imposizione applicabili ai fini delle accise.
Anche in tal caso si trattava di pronuncia resa a seguito di rinvio pregiudiziale in giudizio instaurato da privato (Messer France SAS, già Praxair) contro il primo ministro, la Commissione per la regolamentazione dell'energia, il ministro dell'Economia e delle Finanze e il ministro dell'Ambiente, dell'Energia e del Mare (Francia), relativamente alla restituzione del contributo al servizio pubblico dell'energia elettrica che la società aveva versato dal 2005 al 2009.
Quanto alla giurisprudenza interna, la Corte di cassazione , proprio sulla base delle decisioni che precedono, ha affermato che "l'addizionale provinciale alle accise sull'energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, nella sua versione, applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 26 del 2007, art. 5, comma 1, va disapplicata per contrasto con l'art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, per come interpretato dalla Corte di Giustizia U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17".
La Corte di cassazione ha in particolare chiarito che: "Perchè gli Stati membri possano prevedere sul consumo di energia elettrica altre imposte indirette oltre alle accise devono, pertanto, essere rispettate due condizioni, applicabili cumulativamente (si v., con ulteriori richiami giurisprudenziali, C.G.U.E., 5 marzo 2015, in causa C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punti 35 ss., con riferimento alla direttiva 2008/118/CE; C.G.U.E., 25 luglio 2018, in causa C103/17, La Messer France SAS, punti 35 ss., con riferimento alla direttiva 92/12/CEE): 1) le imposte addizionali devono rispettare le regole di imposizione dell'Unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta; 2) le imposte addizionali devono avere una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio (C.G.U.E., 24 febbraio 2000, in causa C-434/97, Commissione/Francia, punto 19; C.G.U.E., 9 marzo 2000, in causa C437/97, EKW e Wein & Co., punto 31; C.G.U.E., 27 febbraio 2014, in causa C-82/12, Transportes Jordi Besora, punto 23). La già citata sentenza della Corte di Giustizia del 25 luglio 2018, punti 38 e 39, chiarisce poi che affinchè un'imposta possa garantire la finalità specifica invocata, occorre che il gettito di tale imposta sia obbligatoriamente utilizzato "al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l'imposta in parola nonchè di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussiste un nesso diretto tra l'uso del gettito derivante dall'imposta e la finalità dell'imposizione in questione" (la sentenza richiama, altresì, C.G.U.E., 27 febbraio 2014, cit., punto 30; C.G.U.E., 5 marzo 2015, cit., punto 41). Peraltro, "un'assegnazione predeterminata del gettito di una tassa rientrante in una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente a siffatto riguardo, poichè ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l'assegnazione del gettito di un'imposta al finanziamento di determinate spese" (viene richiamata ancora una volta C.G.U.E., 27 febbraio 2014, cit., punto 29). Omissis Ne consegue che il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al ricevuto principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia U.E. è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa (Corte Cost., 8 giugno 1984, n. 170 e successive; C.G.U.E., 22 giugno 1989, in causa C103/88, Fratelli Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria, Sez. U, 12 aprile 1996, n. 3458).
La giurisprudenza di merito
In tale contesto è sorto quindi un ampio contenzioso in cui il cliente ha evocato in giudizio il fornitore (come nel presente caso) al fine di ottenere la ripetizione ex art. 2033 c.c. di quanto indebitamente versato in epoca in cui la normativa interna prevedeva detta addizionale (quindi anteriormente all'anno 2012), facendo leva sul contrasto di tale previsione con il diritto unionale (e segnatamente la richiamata direttiva) e quindi sulla necessità che il giudice interno disapplichi la normativa interna, al fine di ritenere illegittima la rivalsa a suo tempo esercitata dal fornitore sul cliente, secondo quanto sarebbe stato invero indicato tanto dalla Corte di Giustizia quanto dalla Corte di cassazione.
Nella giurisprudenza di merito sono emersi due orientamenti: il primo , più nutrito e già espresso dall'intestato Tribunale , che ha accolto la domanda attorea (anche) sulla base della invocata disapplicazione; il secondo che invece non ha ritenuto sussistere i presupposti in forza dei quali al giudice nazionale sarebbe consentito effettuare detta disapplicazione.
Ritiene la scrivente, come già evidenziato in altre decisioni di controversie analoghe alla presente, che vada data continuità all'orientamento già espresso da questo Tribunale, pur con alcune precisazioni, per i motivi che seguono.
L'argomento principale speso per escludere che il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare il diritto unionale ruota intorno alla previsione dell'art. 288 TFUE nella parte in cui prevede che "La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi".
La CGUE (ex multis con la decisione cd Smith causa C-122/2017) ha in merito precisato che" Il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 288 TFUE, dev'essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, investito di una controversia tra singoli, che si trovi nell'impossibilità di interpretare le disposizioni del suo diritto nazionale contrarie ad una disposizione di una direttiva che soddisfa tutte le condizioni richieste per produrre un effetto diretto in un senso conforme a quest'ultima disposizione, non è tenuto, sulla sola base del diritto dell'Unione, a disapplicare tali disposizioni nazionali nonché una clausola contenuta, conformemente a queste ultime, in un contratto di assicurazione. In una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell'Unione o la persona surrogata nei diritti di tale parte potrebbe tuttavia invocare la giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C?6/90 e C?9/90, EU:C:1991:428), per ottenere eventualmente, da parte dello Stato membro, il risarcimento del danno subito."
Posto dunque che nel presente caso si verte in una controversia tra privati, la contrarietà del diritto interno a quello dell'Unione non può condurre alla disapplicazione del primo ove la contrarietà discenda da una direttiva (irrilevante se self executing o meno) che di per sè non può creare obblighi a carico di un singolo, altrimenti si attribuirebbe all'Unione il potere di istituire obblighi a carico dei soggetti privati in settori non coperti dal potere di emanare Regolamenti.
Da ciò discenderebbe pertanto, secondo l'orientamento richiamato da parte resistente, che il giudice nazionale non sia tenuto a disapplicare la norma interna, ciò peraltro risultando coerente con le pronunce di legittimità sopra richiamate, rese tra il privato e l'Amministrazione pubblica (con obbligo quindi di disapplicazione).
Tale rilievo deve condividersi, dovendo escludersi che l'eventuale disapplicazione tragga diretta origine dalla contrarietà della norma interna alla richiamata direttiva; tuttavia il quadro deve essere esaminato nel suo complesso.
In primo luogo occorre osservare che la direttiva risulta essere stata oggetto di due pronunce della Corte di Giustizia nelle quali invero è emerso - accanto alla valutazione di conformità delle norme dei singoli Stati al diritto dell'Unione - un principio generale relativo alla specifica caratterizzazione (finalità specifica diversa da quella di bilancio) che deve assistere la imposizione di cui è causa.
Ma anche ove non si volesse ravvisare tale principio quale principio generale dell'Unione, è un altro principio indiscusso a condurre alla conclusione qui condivisa, ovvero quello di effettività.
In particolare, infatti, se il fornitore matura il diritto al rimborso ex art. 14 TUA, è pur vero che, nella ipotesi in cui (ex art. 56 TUA) lo stesso abbia riversato il costo della imposta sul consumatore, (quale è la presente), egli non ha interesse a chiedere il rimborso di una imposta il cui onere invero è ricaduto su un diverso soggetto e a tal propostito l'art. 29/2 della L. 428/1990 prescrive che "2. I diritti doganali all'importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni" (disposizione applicabile ai rimborsi nella materia di cui è causa: cfr. Cass., 20819 del 30/9/2020).
Nel presente caso, dunque, essendo stato trasferito il costo della imposta sul consumatore, è costui che, per il principio di effettività (che riveste natura di principio fondamentale del Diritto Ue) deve poter conseguire la restituzione di quanto indebitamente pagato a titolo di addizionale provinciale all'accisa .
E la Corte di cassazione, sez. Tributaria, ha escluso che il consumatore possa adire direttamente l'amministrazione finanziaria, posto che "la legittimazione ad agire verso la amministrazione finanziaria sussiste solo se il rimborso sia impossibile o eccessivamente difficile e l'impossibilità o l'eccessiva difficoltà del rimborso, non sono di per sé ravvisabili per il fatto che la natura indebita del pagamento dell'imposta discenda dalla contrarietà di una normanazionale a una direttiva, ma sono correlate alla situazione del soggetto passivo (nel caso in questione, del fornitore) e non già aquella del consumatore finale" (Cass., Sez. V, 13 settembre 2018, n. 22345/2020).
E, ancora, un terzo e ultimo profilo induce a ritenere più corretta la impostazione volta a disapplicare la norma interna: come chiarito dalla Corte di cassazione, infatti, il rapporto tributario intercorre tra amministrazione finanziaria e soggetto passivo di imposta mentre nella presente causa il rapporto è quello di matrice civilistica corrente tra privato su cui sia stata traslata la imposta e soggetto passivo.
Ciò premesso, la necessaria valutazione, richiesta ai sensi dell'art. 2033 c.c., circa la natura indebita del pagamento, comporta per il giudice la necessità di effettuare un sindacato incidentale sul rapporto tributario e sulla interpretazione della normativa fiscale, che deve condursi sulla base dei principi che si applicherebbero al rapporto tributario e dunque tenendo conto della disapplicazione della norma che prevedeva l'imposta per contrarietà del diritto Ue.
In altri termini, dunque, la valutazione di esistenza o meno di una causa di giustificazione del pagamento effettuato nel presente giudizio presuppone necessariamente il vaglio incidentale che non vi è una norma che rendeva giustificata e legittima l'applicazione della imposta sul fornitore (il quale a propria volta la traslava all'odierno ricorrente),
Trattasi in sostanza di una sorta di disapplicazione "virtuale", come pure affermata dalla Corte di cassazione in tema di Iva, secondo la quale: "La controversia con la quale un contribuente contesta la debenza dell'IVA su TIA richiesta dal concessionario della riscossione dei tributi locali, con oggetto quindi la legittimità del diritto di rivalsa, spetta alla giurisdizione ordinaria in quanto soggetto passivo dell'imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione dei beni o la prestazione di servizi (quindi il concessionario) e la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione bensì un rapporto di natura privatistica fra privati, che comporta un accertamento, meramente incidentale, in ordine alla debenza dell'imposta contestata" (cfr. Sez. 5 - , Sentenza n. 25519 del 12/11/2020).
In definitiva, dunque, la domanda di parte attrice è fondata e merita accoglimento.
Sugli interessi e sulle spese di lite
In ordine alla decorrenza degli interessi, è noto che ai sensi dell'art. 2033 c.c. chi ha eseguito un pagamento non dovuto "Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda".
Nel presente caso, considerato che al momento del pagamento l'addizionale era prevista da una disposizione di legge e che non era ancora intervenuta alcuna pronuncia (né della CGUE né di Cassazione) in ordine alla eventuale disapplicazione, deve ritenersi la buona fede di parte resistente, (non avendo la ricorrente peraltro, in via incidentale, nemmeno allegato uno stato di mala fede di controparte), sicchè gli interessi legali di cui all'art. 1284/1 c.c. sono dovuti dal momento della domanda (segnatamente messa in mora in data 29/11/2019) .
Quanto poi alle spese di lite, la scrivente, come negli altri casi già decisi a far data dal mese di settembre 2021, ritiene di doversi discostare dal precedente di questo Tribunale , superato invero anche da recente decisione sempre di questo Ufficio .
La previsione di cui all'art. 92/2 c.p.c. è stata ampliata alla ipotesi di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni (Corte cost. n. 77/2018). Nel presente giudizio non solo si tratta di questioni relativamente nuove (con specifico riguardo alla controversia tra privati) sulle quali la Corte di cassazione non si è pronunciata direttamente, e per le quali esiste un contrasto giurisprudenziale nella giurisprudenza di merito sulle questioni dirimenti, ma anche sussiste una ulteriore "grave ed eccezionale ragione". Infatti, secondo quanto previsto dall'art. 14/4 TUA, T. deve necessariamente resistere nel presente giudizio al fine di potere (in caso di soccombenza ed entro stringenti limiti temporali) adire l'amministrazione finanziaria per il rimborso di quanto versato. La Corte di cassazione ha infatti chiarito, pronciandosi in merito all'art. 14/4 TUA, che "una volta esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l'azione di rimborso nei confronti del fornitore, è quest'ultimo ad avere novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborsonei confronti dell'amministrazione finanziaria, attribuendosi, quindi,espressamente l'azione di rimborso al fornitore che abbia traslato l'imposta sul consumatore all'esito dell'azione da questivittoriosamente esercitata nei suoi confronti" (Cass 22345/2020, cit.).
Per tutte queste ragioni, conclusivamente, le spese di lite vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
1) In accoglimento della domanda di parte ricorrente e per le ragioni indicate in motivazione, condanna T. alla restituzione ad A. della somma di € 8.609,94, maggiorata di interessi legali ex art. 1284/1 c.c. dalla data del 29/11/2019 e sino all'effettivo soddisfo;
2) Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Si comunichi.
Mantova, 6 novembre 2021
Il Giudice
dott.ssa Francesca Arrigoni


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