Bancaria: legittimo il licenziamento per utilizzo di credenziali altrui.
Pubblicato il 27/06/16 16:20 [Doc.1261]
di Donato Giovenzana, Legale d'Impresa
Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, Sent. n. 12337/2016, Ud. 24/02/2016, dep.15/06/2016.
VICENDA
Ad una dipendente di banca è stato intimato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, a seguito di due contestazioni disciplinari con le quali le si addebitava di aver utilizzato le credenziali del precedente direttore di filiale in diverse giornate per accedere al terminale a lei in uso, e di aver interrogato la base dati a pagamento Pandora Cerved per informazioni su soggetti o imprese non collegate ad esigenze di servizio.
DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE
La Suprema Corte, in relazione allo specifico motivo del ricorso avanzato dalla ricorrente, a conferma della sentenza dei Giudici dâAppello, ha precisato che
⢠la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. L'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli "standards", conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale. Nel caso, non può ritenersi che la Corte abbia fatto malgoverno degli standards valutativi esistenti nella realtà sociale o affermatisi con riferimento a situazioni analoghe. In virtù di costante giurisprudenza di questa S.C., infatti, per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo;
⢠a tale insegnamento si è attenuta la Corte territoriale. Il giudizio di proporzionalità tra l'addebito e la sanzione è stato infatti compiuto sulla base della valutazione di tutte le risultanze fattuali rilevanti, come riferito nello storico di lite, nè il fatto che ella avesse chiesto la nuova password e non le fosse stata data risposta (la cui omessa valutazione si addebita alla Corte territoriale) assume valore decisivo nel giustificare la protrazione della condotta interdetta. L'utilizzazione della password e gli accessi alla banca dati non attinenti l'attività demandata sono stati quindi considerati non in sè, ma nell'ambito della delicatezza della funzione attribuita alla dipendente e della possibilità di accesso ai dati personali sensibili di terzi, che avrebbe imposto un rigoroso rispetto delle regole e delle disposizioni impartite e la cui violazione era pertanto idonea a determinare il venire meno dell'elemento fiduciario.
Donato Giovenzana â Legale dâimpresa
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