Cass. - Sez. III civ.- Ord. n. 24992 del 9 novembre 2020 - Interessi usurari: Intervento esegetico dell'art. 1815, secondo comma, c.c.
Pubblicato il 16/11/20 00:00 [Doc.8323]
di Donato Giovenzana, Legale d'Impresa


Secondo la Cassazione l'espressione "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi" ha come chiave di lettura proprio la congiunzione "e", la quale, peraltro, conduce alquanto agevolmente ad un significato diverso da quello prospettato nel ricorso. Infatti la congiunzione unisce nullità della clausola e non debenza di interessi, dal che razionalmente si deduce che gli interessi non dovuti sono quelli previsti nella clausola nulla.
Circoscrivendo a quel che si definisce "la clausola", il legislatore - è ragionevole intendere - non ha investito tutto il negozio, bensì ha dettato una nullità parziale e, immediatamente, ne ha determinato gli effetti in termini pieni e realmente sanzionatori: avrebbe potuto anche decurtare la debenza esclusivamente della cresta superante il tasso soglia, ma lo ha voluto inequivocabilmente escludere, facendo cadere tutti gli interessi che la clausola risultata nulla regolava. Il centro della norma, allora, è proprio "la clausola"; e il collegamento ad essa nella parte conclusiva del comma circoscrive al contenuto della clausola il significato di tale dettato finale. Il fatto che manchi l'articolo davanti all'ultima parola del comma - "e non sono dovuti interessi" in luogo di "e non sono dovuti gli interessi" - potrebbe effettivamente deviare verso una interpretazione estensiva se non vi fosse proprio la congiunzione che, rapportando "interessi" a quella "clausola" che "è nulla", limita - e ancor più di quanto avrebbe potuto effettuare l'inserzione dell'articolo - l'oggetto della sancita non debenza. Una interpretazione correttamente letterale, in conclusione, non consente di "svincolare" dalla clausola nulla gli interessi non più dovuti: devono essere, quelli caducati per la nullità, proprio e soltanto gli interessi previsti in quella clausola.
La ratio normativa non è d'altronde confliggente con quel che emerge dal dettato letterale, bensì gli è pienamente sintonica. Il ricorso tenta di individuarla nella intenzione di "punire, anche in sede civile, l'usuraio" evitando che possa "legittimamente lucrare - pur nei limiti del tasso corrispettivo - sulla vittima del reato". Il primo rilievo che si deve muovere avverso questo asserto è che la pattuizione di interessi con un saggio superiore al tasso soglia non costituisce, di per sé, reato, dal momento che coincide esclusivamente con l'elemento oggettivo della fattispecie criminosa. L'articolo 644 c.p. prevede un delitto doloso, il quale, naturalmente, è costituito anche dallo specifico elemento soggettivo. La clausola nulla ex articolo 1815, secondo comma, c.c. si pone su un piano diverso, a nulla rilevando l'esistenza o meno di un dolo sotteso alla formazione della volontà di stipulare detta clausola.
Nell'applicazione dell'articolo 1815, secondo comma, c.c. non si è di fronte a un "usuraio" né ad una "vittima del reato", bensì, soltanto, ad una nullità per violazione di norma imperativa.

E da qui discende un'ulteriore, necessaria considerazione.
Le nullità, come "sanzioni civili", sono graduate, non soltanto in relazione all'identificazione di chi può - o deve, se è il giudicante - eccepirne/rilevarne la sussistenza in sede processuale, ma anche, e prima ancora, in relazione all'ambito dei loro effetti: dalla nullità che investe tutto il negozio, alla nullità parziale che ne espunge un elemento, alla nullità parziale che ne sostituisce un elemento con un dato normativo. Nel caso dell'articolo 1815, secondo comma, c.c., si tratta di una "clausola" nella quale "sono convenuti interessi usurari": e la norma stabilisce la conseguenza nel senso che "la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". La ricorrente questo intende come inserimento nel negozio della natura gratuita. Se così fosse, ictu culi, da una nullità confinata ad una "clausola" verrebbe fortemente sommosso l'intero sinallagma negoziale. Mentre, prima, entrambe le parti avrebbero avuto un loro vantaggio - la corrispettività insita in questo genere di contratti in cui sussistono appunto gli interessi corrispettivi -, l'una godendo di un bene non proprio e l'altra ottenendone la restituzione con un plus aggiunto -, configurandosi un contratto a titolo oneroso, applicando l'articolo 1815, secondo comma, c.c. come prospetta la ricorrente non cadrebbe una sola clausola, bensì verrebbe tutto immutato e diverso, invertendo, in ultima analisi, la congiunta volontà delle parti in ordine alla configurazione del regolamento negoziale. Tutta la congiunta volontà delle parti, perché, ovviamente, il mutuante, se avesse saputo che non avrebbe tratto alcun vantaggio dal concedere il mutuo, non sarebbe addivenuto a stipularlo, e l'accordo non sarebbe esistito. Se è così, la nullità in realtà non si confinerebbe ad una clausola, bensì investirebbe l'intero negozio, sostituendolo con un altro ex lege.
Il cambiamento della natura, da onerosa a gratuita, è infatti talmente radicale da non conservare una compatibilità con il consenso raggiunto dalle parti contraenti. Le parti hanno raggiunto "l'accordo" di cui all'articolo 1321 c.c.: tale accordo, per nullità di una clausola, nella interpretazione prospettata dalla ricorrente diverrebbe pienamente diverso.

Allontanandosi, allora, da questa reductio ad absurdum, non si può non rilevare che il legislatore ha fatto una scelta conservativa - nullità parziale - di tipico genere, cioè ha investito della sanzione civile solo il focolaio di illegittimità - la clausola degli interessi usurari -, e non l'intera conformazione dell'accordo negoziale. E dunque il negozio "resta in piedi", conservando il suo nerbo di onerosità: cade la debenza esclusivamente degli interessi regolati dalla clausola nulla, il che significa che possono essere non dovuti gli interessi corrispettivi se la clausola nulla li riguarda, e che possono essere non dovuti quelli moratori se la clausola nulla riguarda loro. La sanzione non contagia le clausole legittime. Peraltro, se entrambi i tipi di interesse siano usurari, nulla osta a intendere che in quel caso tutte le clausole relative al superamento del tasso soglia cadano nella nullità (a parte che, naturalmente, il regolamento negoziale potrebbe dedicare al saggio un'unica clausola per entrambi: la conseguenza sarebbe identica), e che, a questo punto, essendosi dinanzi ad una fattispecie estrema, estrema sia anche la conseguenza della sanzione civile, poiché allora l'onerosità concordata è stata radicalmente e compiutamente illegittima, investendo la reale natura del negozio: dunque, il negozio diventerà gratuito.

L'incidenza limitativa dell'ambito della clausola nulla regolante un tipo di interesse - nel senso che, come si è appena illustrato, la sua nullità, ai sensi dell'articolo 1815, secondo comma, c.c., non si estende al contenuto delle clausole regolanti altra species - rende irrilevante, si nota oramai ad abundantiam, nella presente questione il dibattito che si è sviluppato, oltre che in dottrina, da ultimo in alcuni arresti di questa Suprema Corte sulla natura comune o distinta degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori.
In particolare, si è spesa nel senso della comune sostanza Cass. sez. 3, ord. 30 ottobre 2018 n. 27442 - ravvisata nella funzione di remunerazione del godimento del denaro, per volontà del creditore (interessi corrispettivi) o in difetto della sua volontà (interessi moratori) -, mentre la susseguente Cass. sez. 3, 17 ottobre 2019 n. 26286 ha ribadito l'impostazione più tradizionale, riconoscendo "una netta diversità di causa e di funzione" - l'interesse corrispettivo costituendo la remunerazione concordata per il godimento, l'interesse di mora invece risarcendo il danno conseguente all'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria, così che la determinazione convenzionale del suo tasso integra in fondo una clausola penale -.

Infine, per completezza, la Suprema Corte rileva che il quadro normativo-interpretativo finora illustrato non ha subito alcun mutamento che qui interessi per opera della sopravvenuta sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020 pronunciata dalle Sezioni Unite, la quale ha - tra l'altro - riconosciuto l'applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratori, ravvisando lo scopo di tale disciplina nel sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipulazione del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma altresì nel sanzionare la promessa di qualsiasi somma usuraria che sia dovuta in relazione al contratto concluso.
Per il che l'interpretazione adottata dal giudice d'appello, in conformità a quella del primo giudice, escludente la espansione di nullità risulta, in conclusione, corretta, ed il motivo non merita accoglimento.

Donato Giovenzana - Legale d'impresa


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